Una fra esse è certamente quella del Venerdì Santo; anzi se si dee confessare il vero dalla descrizione delle cerimonie praticate in Venezia in quel pietoso giorno, doveva la mia opera incominciare. Nulla infatti poteva esservi di più antico in queste lagune, che la celebrazione di un giorno di così antica e di così venerabile ricordanza. All’epoca dell’irruzione de’ Barbari in Italia, il Sacerdozio, imitando la nobiltà, e tutti quelli che avevano molto a perdere, fuggì dal continente trasportando seco il prezioso tesoro delle Sante Reliquie. Accompagnato esso dalla parte più fedele del Popolo, scelse ad asilo queste lagune, e vi stabilì i riti della Chiesa Romana, madre e maestra di tutte le altre chiese. Non è quindi a dubitare essersi ben tosto veduta anche in Venezia quella commovente Processione del Venerdì Santo, che nella sua origine Apostolica venne ad esprimere un divoto accompagnamento del Corpo del nostro Signore verso il Sepolcro, ed insieme si giudicò un mezzo atto a richiamare alla mente de’ Fedeli i patimenti e la morte di Gesù Cristo, e ad inspirare sempre più ne’ cuori la pietà e la riconoscenza verso di lui, che fu nostro divin Salvatore. Dal suo principio in poi fu inalterabile in Venezia l’annua rinnovazione di sì edificante spettacolo; solo vi si aggiunse la pompa e la magnificenza in proporzione dell’aumento di lustro e della crescente ricchezza della Repubblica.
Due ore dopo terza scendeva il Doge dal suo palazzo colla Signorìa, il Collegio, il Senato e le principali Magistrature nella Chiesa di san Manco.
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