Clemente V senza ponderar più che tanto la supplica, fece intimare al Governo di Venezia di rimettere immediatamente in libertà Ferrara, minacciando, in caso di resistenza, di perseguitar la nazione con tutte le sue armi, e di suscitare contro la Repubblica tutti i principi cristiani.
Una intimazione così risoluta del Papa non fece però grande impressione sull’animo del Doge Gradenigo; pure non potendo decidere nulla da sè solo, gli fu forza di convocare il Maggior Consiglio per prender partito. Tra i convocati fu il primo Jacopo Quirini, che con somma eloquenza procurò di persuadere la rinunzia di Ferrara, mostrando che le armi spirituali del Papa potevano essere più offensive che quelle di tutti gli altri principi uniti; poichè un’anatema sur i sudditi della Repubblica sparsi per tutta l’Europa avrebbe potuto ridurre a mal termine le loro sostanze, ed anche la vita; che il tuono minaccevole della voce Papale poteva risvegliare la gelosia assopita de’ rivali della potenza Veneziana, e intimorire i sudditi fin al punto di far perdere con disonore ciò ch’era meglio cedere sotto l’aspetto di obbedienza filiale al Capo della Chiesa. Aggiunse, che se l’ambizione di estendere l’impero aveva a far prendere le armi in mano ai Veneziani, non mancavano regni in Oriente da conquistare, senza dipartirsi da’ principj stabiliti dagli antenati, i quali riposto avevano le basi della nazional gloria e grandezza nella navigazione e nel commercio, riguardando come nocevole alla libertà ogni acquisto di Terra-Ferma; che ancor meno dunque dovevasi ritener Ferrara, città prediletta del Sommo Pontefice, e ciò contro la sua assoluta volontà.
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