Terminata questa disputa, altri Oratori presero a sostenere un’opinione affatto contraria. Fecero vedere che il Papa aveva gran torto di lagnarsi de’ Veneziani, che avevano preso tante volte le armi per lui, e versato il loro sangue, e prodigati i lor tesori in favor della Chiesa; che inoltre non trattavasi già di una conquista, ma di accordar protezione a sudditi, che di loro spontanea volontà eransi sottommessi ad un Governo saggio e clemente; che non dovevasi mai per un timor pusillanime negar soccorso a chi avea diritti di attenderlo, nè rinunciare ad una Città, che situata sul Po, non poteva essere attaccata nè dal Papa, nè d’altri con forze marittime eguali a quelle della Repubblica. Terminavano col dire, che mentre il felice destino offeriva una sì ricca addizione terrestre ai possessi di mare, non dovevasi per viltà trascurarla. A tal passo altri Oratori si alzano per aver la parola; ma sono interrotti da altri. I più ardenti erano da una parte i Gradenighi, i Michieli, i Giustiniani; ed i Quirini, i Badoari, i Tiepoli dall’altra. Entrambi i partiti si riscaldano, dimenticasi la maestà sovrana, si giunge sin alle ingiurie. Quelli del partito Quirini accusano gli altri d’ignoranza, non sapendo prevedere i mali e la vergogna che derivar ponno da tanta ostinazione. Gli avversarj chiamano poltroni e nemici della Patria chi vuole la pace. Alfine il Doge si alza: quest’atto impone il silenzio; ciascuno crede di udire giusti rimproveri per i confini oltrepassati dai disputanti; nulla di questo.
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