Fu però grandissimo fallo questa permissione; poichè i Congiurati perdettero in tal modo inutilmente un tempo prezioso, del quale il Doge ne profittò per raccorre insieme tutti i suoi partigiani, e disporli in propria difesa. Diede il comando delle truppe a Marco Giustiniani, il quale pose buona difesa ad ognuna delle porte del palazzo, indi le sfilò del miglior ordine sulla Piazza di San Marco.
Frattanto il Tiepolo cominciò la sua marcia. Si videro allora uscir da ogni strada coorti di genti armate, ed il suono delle trombe misto ai gridi, agli urli, ed al rimbombo de’ tuoni, tutto aumentava l’orrore. Giunti alla Merceria, raddoppiaronsi le grida: morte al Doge Pietro Gradenigo. Gli abitanti di quella contrada accorsi tosto alle finestre e su i tetti, gettarono sugli armati pietre e sassi, e tutto ciò che veniva loro alle mani. Una vecchia volle gettare un mortajo di pietra sulla testa di Bajamonte, ma se fallì quel colpo, fu però fortunata per avere colpito il suo Alfiere, che morì sul momento. Non perciò il Tiepolo si sbigottì, ma continuò la sua marcia verso la Piazza di San Marco, ne si spaventò punto per lo spettacolo imponente di un’armata disposta a riceverlo, che non aspettavasi di vedere. Le due schiere si dispongono tosto all’attacco; il sangue già scorre sul terreno, e durante lo spazio di varie ore, la Piazza di San Marco divenne il campo di battaglia, offerendo nel furor civile di un medesimo popolo tutti gli orrori d’un combattimento fra due nazioni ferocemente nemiche.
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