Esempj tali presentati con riuscita felicissima parvero svegliare in tutti i cuori italiani una specie di fermento generale, che fece vieppiù ardente la brama dell’indipendenza.
Questa passione che sin dal 983, e molto più nel 1106 aveva gettato molte scintille, nel XII secolo tanto divampò da fare sì rapidi progressi, che non la Lombardia soltanto, ma le altre principali città dell’Italia erano giunte a scuotere il giogo de’ lor tiranni, a far fronte alle armate dei principi alleati, a formarsi una costituzione libera e adattata a ciascuna repubblica. Lo studio del diritto comune contribuì grandemente ad avvivare le idee più precise della giustizia e della saggezza de’ governi. Si arrossì allora dell’obbedienza accordata sì a lungo a leggi barbare, a leggi forestiere, fossero pur esse o Bavaresi, o Lombarde, o Saliche, o Alemanne, o Rissuarie. Le sole leggi romane furono rimesse in tutta la loro attività. Videsi tosto ristabilito il buon ordine, suscitato lo spirito d’industria, le arti divenute un oggetto di attenzione, l’agricoltura incoraggiata ed onorata, la popolazione accrescersi sensibilmente, le ricchezze procurare i comodi ai cittadini e abbellir la città; infine la felicità sociale estendersi per ogni dove. Ma per una fatalità umiliante, a questo quadro animatore ne troviamo posto dirimpetto un altro di un genere affatto opposto. Allo spirito d’indipendenza si associò tosto l’abuso della libertà, dell’eguaglianza, e quindi ne nacque la discordia, il disordine. Si cercò un pronto rimedio, e si credette di averlo trovato, affidando le redini del governo ad un qualche personaggio noto per la sua probità, per la sua prudenza, ed i suoi lumi.
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