Ma che cosa v’è che basti ad appagar la sete dell’ambizione, massime in coloro, che da una sorte propizia furono innalzati oltre la nascita? Mastino avea tutt’altro che un’anima capace di difendersi contro le insidie, che sempre si ascondono ne’ favori del destino. Prese un’aria orgogliosa, dura, sprezzante. Volle anch’egli dominare col terrore. Non usciva mai se non preceduto da duemila cavalli, e da duemila fanti colla sciabla sguainata alla mano. Si sospettò che aspirasse alla conquista di Ferrara e di Bologna, e di voler infine rendersi sovrano della Lombardia. Si disse persino che si aveva fatto lavorare una corona d’oro contornata di brillanti del valore di ventimila ducati d’oro e più. Che che ne fosse, egli certamente affettò un disprezzo generale, e cominciò a spiegarne gl’indizj anche riguardo alla repubblica di Venezia. S’impossessò delle terre de’ signori di Camino, che in allora erano sotto la protezione dei Veneziani. Ordinò l’erezione di un forte sui confini delle lagune a Bovolenta, dove i Veneziani lavoravano il sale. E volle inoltre far deviare il corso de’ fiumi a grave danno della nostra città e del suo commercio in Terra-ferma. Con questo contegno ostile Mastino pretendeva di mostrare ai Veneziani, ch’egli nulla temea di loro per l’esecuzione de’ suoi divisamenti. Ma egli avea mal pesate le forze di questa Repubblica. È vero ch’essa nulla ancor possedeva sul Continente, ma era però tale tanto pel suo dominio sul mare, quanto per le sue ricchezze, e per la sua popolazione, da incutere timore nei confinanti.
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