Pure conoscendo quanto utile gli era di temporeggiare, aggiunse che spedirebbe tosto egli stesso un suo deputato a Venezia a fine di esporre al Senato la sua ultima volontà. Questi giunse di fatto, ma venne tosto congedato coll’intimazione di guerra.
Il doge Francesco Dandolo, benchè uomo belligero, e attissimo a dirigere le operazioni guerriere, non vedeva che con dolore la necessità di venire all’armi. Era persuaso che niente vi fosse di più dannoso ad una nazione commerciante quanto l’interruzione della pace; che il meschiarsi tra quelle fazioni, che dominavano allora il Continente agitato da discordie civili, recar potrebbe gravi sciagure anche al suo paese; e che niente infine poteva compensare le spese e i rischi di una sterile guerra. Venezia infatti non possedeva allora alcuno stato in Terra-Ferma, nè pur per poco aspirava ad averne; riguardando ciò come un pericolo di diminuire l’amor della patria per l’amor delle ricchezze continentali, come una distrazione alla soppravveglianza delle leggi, e come una probabilità di perdite maggiori ad ogni rinnovazione di guerra. Nel caso presente dovea essa cimentare le sue forze pel solo piacere di rovinar le terre dei suoi nemici, per dovergliele poscia rilasciare senza proprio profitto. D’altra parte il Dandolo era ben lontano dal voler tollerare affronti e ferite alla dignità della Repubblica. Studiò adunque il modo di salvar tutte le convenienze. Dopo un maturo esame raccolse il Senato, e cominciò dall’esporre colla maggior eloquenza tutti i vantaggi, che si traevano dall’impero del mare.
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