Fece vedere che le sole forze marittime avevano recato ai Veneziani tutto il loro potere, e sparso il loro nome in tutto il mondo. Richiamò alla memoria di ognuno i principj gloriosi della Repubblica, base immobile sulla quale dopo tanti secoli si reggeva il sublime edificio: l’amor della pace e della tranquillità avea popolato queste lagune, ed i cittadini nutriti con tali idee, ne avevano contratto l’abitudine. Fece osservare che quantunque Venezia coll’andar del tempo fosse cresciuta in forze ed in autorità, essa però non avea prese mai le armi in mano che per vendicarsi delle ingiurie, o per dar ajuto agli amici, non mai per ambizione di dominio, o d’ingrandimento dello Stato. Combattè contro i Francesi, quando Pipino pretese di soggiogarla; contro gli Unni, che, malgrado la loro forza, mise in fuga; contro i Genovesi, che non cessavano di molestarla. Pure ad onta di tutti i riportati trionfi ebbe sempre la prudenza di conoscere, che la pace ed il mare erano le sole e vere sorgenti di sua prosperità, e che la posizione della città, e le antiche sue instituzioni le ingiungevano l’obbligo di non deviare giammai da questi principj: essersi perciò sempre astenuta dal mirare al Continente, siccome cosa di somma difficoltà, e d’immensa spesa, richiedendosi eserciti, armate bastantemente forti e bene disciplinate per poter penetrare sul territorio altrui, seguire il corso delle vittorie, e conservar le sue conquiste. Aggiunse l’esempio di molti antichi popoli, che malgrado la forza delle loro flotte, e la loro superiorità sul mare, non si erano però mai arrischiati di estendere i limiti del loro impero sul Continente.
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