Allora si vide in Venezia uno spettacolo, che provò quanto un tiranno abbia tutto da temere, quando la fortuna lo abbandona. Ciò fu l’arrivo di sessanta ambasciatori di principi e di città, che a gara offrivano i loro servigj alla Repubblica.
La posizione di Mastino non poteva essere che penosissima; e ciò che l’accrebbe ancor più si fu, che mentre il Rossi batteva un corpo delle sue truppe vicino a Este, una terribile sollevazione di popolo era scoppiata a Padova. Mastino potè acquietarla sul momento; ma ben conobbe quanto fosse da temere per l’avvenire. Per arrestare il corso di tante sciagure e guadagnar tempo, ricorse al mezzo de’ deboli, che pur qualche volta riesce, di trattar di pace. A quest’effetto mandò un ambasciatore a Venezia. Per sua disgrazia scelse Marsilio di Carrara, il qual avea saputo dissimular sì bene l’odio contro il tiranno, che ne godea la maggior confidenza. Marsilio arrivò a Venezia, e venne tosto ammesso all’udienza secreta del Doge. Egli espose i suoi progetti, i suoi disegui, indi aggiunse: che fareste voi se vi si consegnasse Padova? Il Doge immediatamente rispose: la rimetteremmo tosto nelle mani di chi ce l’avesse data. Ciò soddisfece tutti due. L’inviato del signor di Verona si presentò al collegio in grandissima cerimonia. Il Doge gli presentò i Preliminari della Pace. Marsilio, benchè d’accordo col Doge, disapprovò altamente la troppo grande severità della Repubblica, e pregò di moderare il rigore. Non avendo potuto nulla ottenere, si congedò per andar ad informarne il suo signore.
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