È certo intanto che, allora quando furono visti i Dogi accoppiare l’autorità sacra al potere civile ed esercitarne le funzioni, sursero non pochi Scrittori ad appoggiare (come sempre accostumasi) simile prerogativa, ed a provare ch’era giusta e ragionevole. Ciò che dice il Sansovino a questo proposito merita di essere ripetuto:
E certo con ogni debito di ragione essi avevano (i Dogi) una tale autorità. Perchè se si riguarda alla Nobiltà di Venezia, la quale per la novità dell’origine sua, per la grandezza delle cose fatte da lei, per la forma del suo maraviglioso Governo, per l’accrescimento dell’impero, e per la copia delle ricchezze acquistate con virtuosa fatica e industria, sovrasta a tutte le altre città d’Italia; e se si riguarda anco ch’Ella ha edificato tanto gran numero di Chiese, di Monasteri, di Spedali, di Oratorj, ed altri luoghi pii dotati da lei, e che ha finalmente ridotto a coltura le paludi, ove sono le dette Chiese, riparandole di continuo dall’impeto de’ fiumi, e furia del mare con spese eccessive a beneficio della religione e de’ luoghi sacri, non dovrebbe parer cosa stravagante, se il Principe avesse la cura particolare come di cosa sua propria ecc.
I Dogi a questo modo adulati andarono forse un po’ troppo avanti, ed estesero troppo le loro pretensioni. Ma questo è proprio dell’uom potente: l’ambizione e l’orgoglio gl’inspirano un tal amor del potere, che non gli lasciano più riconoscerne i limiti, ed è incapace di metter da lui stesso il freno alla sua autorità. E forse coll’accettar l’omaggio delle sopra mentovate torcie, si credettero anzi in diritto di esigerle come un tributo somigliante a quello, che offrivasi alla divinità. Erano queste una specie di Fuoco sacro, che gli antichi conservavano sì gelosamente nelle loro magioni: e infatti ci voleva un gran corso di giorni prima che torcie sì grosse venissero a consumarsi.
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