Gli scrupolosi esami, e la verificazione delle accuse a carico del Falier occuparono tutto il giorno 15 aprile, giorno destinato per lo scoppio della congiura. Era già notte quando la relazione del processo ebbe termine. Fu fatto allora uscire il Doge dalle sue stanze, nelle quali era sempre rimasto, non sapendo che per metà lo stato delle cose e nodrendo più timor che speranza. Egli comparve dinanzi ai giudici in abito di Doge, e sostenne qual reo le interrogazioni. Ma oppresso dal numero delle accuse e dalla qualità delle prove, non potè evitare di rimaner convinto, e di necessità confermolle. Fu allora ricondotto nel suo appartamento, e la deliberazione venne rimessa all’indomani.
La mattina dei 16 si procedette al giudizio. Tutti votarono per la morte. Sì fatale sentenza onora il civismo ed i lumi di que’ saggi Repubblicani. Non si accusino di soverchio rigore; ancor meno d’ingratitudine. Essi avevano ricompensato i servigi di Falier colmandolo di onori distinti, e per ultimo col diadema ducale. Ma il suo misfatto avea sciolto ogni legame, ed i suoi servigj, che in sostanza non erano stati se non se un debito pagato alla patria, venivano cancellati dalla sua colpa. Egli dovea dunque incontrare il castigo. E per questo appunto Venezia, non confondendo mai la riconoscenza dovuta alle buone azioni de’ suoi cittadini coll’obblio e l’indifferenza per le malvagie, conservò sino alla fine il tesoro della sua indipendenza e della sua libertà.
La sentenza di morte fu pronunziata il dì 16, ed eseguita il giorno 17 di buon mattino.
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