In tal giorno tutte le porte del palazzo furono perfettamente chiuse. Il Consiglio di X entrò in corpo nelle stanze del Doge. Venne spogliato di tutte le insegne del suo grado; indi condotto sopra una loggia del pubblico palazzo gli venne mozzata la testa, che rotolò giù e insanguinò quelle superbe scale che avevano tante volte veduto passar trionfanti gl’illustri suoi predecessori.
Subito dopo l’esecuzione, uno dei capi del Consiglio X si affacciò ad una delle finestre del palazzo, che mettono sulla piazzetta di san Marco, e tenendo in mano la spada insanguinata, pronunziò ad alta voce tali parole: È stata fatta giustizia al traditor della patria. Si spalancarono allora le porte del palazzo, ed il popolo in folla corse a mirare il corpo del Doge rimasto sul luogo del suo supplizio. La sera il cadavere fu posto in una gondola, e portato senza pompa alla sua sepoltura, sulla quale fu inciso quest’epitafio:
Dux Venetum jacet hic Patriam qui perdere tentans
Sceptra, decus, censum perdidit atque caput."
Nella sala della pubblica biblioteca, dove si veggono tuttavia i ritratti di tutti i Dogi, in luogo di quello di Marino Falier, fu posta una tavola coperta di un velo nero, e disotto una iscrizione con queste parole:
Hic est locus Marini Falerii decapitati pro criminibus.
In simil guisa la sapienza de’ governanti sventò la congiura, prima che la città giungesse a saperla e a temerla. Nondimeno la pietà de’ nostri padri attribuendo questo felice fine più che al resto, alla divina provvidenza, che avea voluto salvar la Repubblica, decretarono, onde perpetuare la memoria di così segnalato beneficio, che ciascun anno nel dì di sant’Isidoro, in cui già il Doge, come abbiamo altrove veduto, scendeva alla chiesa di san Marco per assistere ad una Messa solenne, si dovesse aggiungere una processione con tutte le primarie confraternite, alla quale intervenissero i comendadori del Doge, portando ciascuno in mano una torcia rovesciata per esprimere in qualche modo i funerali del Doge Falier: cerimonia molto utile per ricordare ai Dogi di non doversi riguardare mai come signori di Venezia, ma soltanto come capi della Repubblica, anzi come i primi servi onorificati di essa, e sottommessi alle medesime leggi di ogni altro cittadino.
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