Avvertito di ciò il Senato armò subito una flotta, creò generale Pietro Loredan, il quale avvicinatosi allo stretto di Gallipoli, fece innalzare la bandiera bianca, e sbarcò un suo messo inviandolo a Maometto per dolersi di un tal procedere, per procurare la restituzione delle prede, e stabilire onorevolmente una pace giusta e permanente. Non si conciliò l’affare, ed anzi videsi tosto spiccarsi dallo stretto un’armata turca in ordinanza. Il Loredan, schierata la propria, fece l’ufficio di capitano valoroso e di ardito soldato. Tutti si misero a gara nell’imitare il suo esempio. Scagliossi egli colla sua galera nel più folto dell’armata degl’Infedeli, e diede principio ad un furioso combattimento. Si venne all’abbordo delle galee e delle fuste turchesche, e tutto che ferito sì nella faccia che in più parti del corpo, egli non aderì alle persuasioni di ritirarsi per curar le ferite, ma persistette arditamente sino all’intero disfacimento dell’inimico, ammazzato il general Ottomano, tagliati a pezzi tre mila Turchi, predate sei galee, e venticinque fuste, e le restanti fugate dentro Gallipoli.
Terminato così gloriosamente questo conflitto, spedì il Loredan altro messo al Sultano, lagnandosi, che venendo egli come ministro di pace, fosse stato ricevuto in forma ostile, e costretto a maneggiar l’armi a necessaria difesa. Fu sacrificato il debole, e dato il torto all’imperizia del comandante turco. Venne adunque accolto l’ambasciatore, e si ristabilì la pace nel 1418. Maometto forse temeva più le flotte venete, che quelle di tutti i Principi cristiani uniti: in fatti le prime erano sempre pronte e risolute; lente e discordi fra loro erano sempre le seconde.
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