Tenevano in sì alto pregio sì fatte rozzezze, che in tempi posteriori usavano mostrarle come venerande anticaglie.
La fama delle vittorie, o piuttosto della desolazione cagionata per la presa di Costantinopoli, fece sì, che altre venti piazze per paura si umiliarono a Maometto. Il pontefice Niccolò V, all’infausto ragguaglio di tali progressi, eccitò i Principi cristiani ad un nuovo armamento; offerì ricompense spirituali ai soldati, che incontrassero servigio, e minacciò l’anatema a quelli che lo ricusassero. Per quanto pie fossero queste deliberazioni, il Senato veneto conobbe ch’erano fuori di tempo, e volle piuttosto con desterità e danaro assicurarsi delle favorevoli disposizioni di Maometto verso la Repubblica. A tal fine spedì alla corte del nuovo imperatore Bartolommeo Marcello, che fu bene accolto e trattenuto in qualità di Bailo, o sia ministro ordinario.
Ma quale lunga pace poteva attendersi la Repubblica di conservare con questo infedel musulmano? I trattati non erano da lui risguardati che come un utile giuoco onde approfittarsi per estendere le sue conquiste, e gl’infrangeva senza scrupolo, qualora credeva di poter trarre da ciò vantaggio maggiore. La buona riuscita delle sue imprese, lo determinò di spingere le sue armi a’ danni della Morea, le cui piazze appartenevano alla Repubblica. Questa provincia, un dì chiamata Peloponneso, famosa fra le greche per la celebrità delle sue Repubbliche, circondata dal mare, irrigata da’ fiumi, di aria felicissima e salubre, oltre all’essere fertile ed amena, gode il vantaggio di un sito importantissimo per la navigazione del Levante.
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