Questi raccolgono ed ammucchiano le rovine, e convertonle in trinciere ai loro ignudi petti; rafforzano quelli le squarciate muraglie con grossi sassi e con botti, che riempiono di terra, e di là scagliano colpi mortali al nemico. Ma le batterie fulminanti giorno e notte hanno ormai aperto l’adito agli assalitori di entrare in città; pure non possono per anco sperare d’impadronirsene senza grande strage, e per risparmiarla osano di tentar il Loredan con offerte, indi con minaccie alla resa. Egli risponde con quella fermezza ch’è propria di un nobil cuore e di un sangue senza macchia, che non sa come si possa rendere una piazza che gli è stata affidata, e che ad imitazione de’ suoi antenati, egli o la conserverà, o in essa morrà. Punto al vivo da una tale risposta, Solimano ordina un generale assalto; ma se l’impeto fu terribile, non men coraggiosa fu la resistenza. Sassi smisurati fatti cadere a precipizio dall’alto sopra gli assalitori, recavano ad essi in un la morte e la sepoltura. Gli Albanesi nel maneggio della sciabla non cedevano ai Turchi, onde correva a rivi il sangue. Ma disgraziatamente gli assediati penuriavano di ogni cosa, e particolarmente di acqua, talmentechè per averne conveniva farsi strada al fiume colle armi, e concambiarla con altrettanto sangue: inoltre un gran numero ne perì per la gran copia, che ad ismorzar la sete con troppa avidità tracannavano. Il coraggio dunque de’ difensori cominciò a venir meno, e già voci confuse bisbigliavano di arrendersi.
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