Il Loredan raduna quanti più può, e fa ad essi conoscere l’orror del servaggio, ed i mali terribili a cui certamente andrebbero soggetti, se i Turchi s’impadronissero della piazza; ma vedendoli ancora irresoluti, scopre il proprio petto, e dice loro: "Chiunque è tormentato dalla fame si nutra della mia carne, e chi dalla sete, si abbeveri del mio sangue, io glielo permetto.» Allora tutti ad una voce gridarono: Noi non vogliamo altri padroni che i Veneziani; morremo tutti senza arrenderci. Tali in fatti furono i loro sforzi di valore, che gli Ottomani infine stanchi di sì incessante perdita, dovettero per moderar il corso delle stragi, ritirarsi dall’assalto, sperando nondimeno di riuscire per via di blocco. Ma finalmente visto qual macello si facesse di loro dai valorosi difensori, e quai mucchi di cadaveri si alzassero a piè delle mura, oltre il gran numero di soldati, o monchi o feriti, conobbero l’impossibilità di conquistar più quella piazza, e con vergogna e dolore risolsero di abbandonarla, dopo avervi perduto più di venti mila uomini delle loro più scelte milizie.
Giunta a Venezia la fausta nuova della liberazione di Scutari, ogni ordine di cittadini corse alla chiesa di san Marco per ringraziarne la divina provvidenza. Fu poscia raccolto uno straordinario consiglio affine di prender in esame le ricompense, che accordar si dovessero ai prodi difensori. Venne stabilito, che Antonio Loredan sarebbe dal Doge decorato del titolo di cavaliere, e che dal pubblico erario si trarrebbero due mila ducati per assegnarli in dote alla sua figlia maggiore.
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