Colà i buoni Veneziani potranno ancor rammemorare i loro fasti gloriosi, inchinandosi dinanzi le reliquie di un loro cittadino sì illustre.
Non saprei finire questo melanconico quadro delle nostre perdite senza versar pur anche qualche lagrima di dolore sopra il sepolcro, che nel chiostro di san Domenico chiudeva le ossa di quella nostra illustre concittadina Cassandra Fedele, che fu l’ornamento del suo sesso per lo sublime ingegno, per i puri costumi e per la rara bellezza. La sua eloquenza più di una volta rapì nelle pubbliche solennità i primi magistrati dello Stato. La sua vivacità nel cantar versi improvvisi aggiunse letizia ai pubblici ducali conviti; le sue profonde cognizioni nella filosofia, la sua estesa erudizione nel greco e nel latino destarono sorpresa fino a’ più severi dottori di Padova. Vari dotti de’ più rinomati, come Poliziano, il Sabellico, il Barbaro; varj principi, come Leon X, Luigi XII re di Francia, Ferdinando re di Spagna, mantennero una frequente corrispondenza con lei. Isabella d’Arragona la invitò con grande istanza alla sua corte; un’altra gran donna, qual fu Bona regina di Polonia, nel pomposo ingresso che fece in Venezia nel Bucintoro, si sentì recitar da lei una latina orazione in sua lode, e così fu presa da entusiasmo e piacere, che si slanciò fra le sue braccia, e strappato dal collo il proprio monile, lo ravvolse intorno a quello di Cassandra. Un movimento così spontaneo in una gran principessa era molto più lusinghiero e più atto ad eccitare a magnanime e dotte imprese, che quelle tante decorazioni, che spesso non sono accordate che a cortigianesche protezioni, talora a nojose importunità e qualche volta a ciechi capricci.
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