Non puossi fissar l’occhio sopra questo monumento, e sopra le pitture che lo circondano dimostranti la carneficina, che il nostro eroe ebbe a tollerare, e sopra l’inscrizione postavi sotto, senza sentirsi vivamente colpiti di ammirazione per tanta virtù, e di un giusto sdegno verso quell’infame bassà, che osò dopo tanti delitti entrar glorioso in Costantinopoli. La viltà di quegli abitanti lo fece accogliere qual trionfatore in mezzo a tutti gli onori; benchè la sua vittoria costato avesse all’impero più di 50000 uomini, ed avesse egli imbrattato la sua nazione con una sì inumana condotta.
All’annunzio di tante atrocità, e de’ progressi de’ Turchi, parve più che mai ai principi cristiani necessario di agire risolutamente contro le forze ottomane. Le squadre degli alleati, ch’erano di ducento e cinquanta legni fra grandi e piccoli, trovavansi a Messina munite di ogni lor bisogno. I Veneziani principalmente si sentivano vivamente bramosi di vendicar tante offese. Essi avevano per lor comandante il valoroso Sebastian Venier, che quantunque più che settuagenario, non la cedeva a qual si sia valoroso, in coraggio e intrepidezza. Vi avevano inoltre, come di consueto, due provveditori, Agostin Barbarigo e Marco Quirini, entrambi reputatissimi; ma niente potevano intraprendere, poichè il comando generale apparteneva tuttavia a don Giovanni d’Austria. Questi convocò il consiglio di guerra per decidere della direzione da prendersi da tutta l’armata. Fu sua opinione di rientrare nel golfo di Venezia.
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