Le fosse più larghe e più profonde, non sì tosto scavate, traboccavan di morti. Finalmente per colmo di disperazione le chiese medesime, quell’asilo degl’infelici, quell’estremo rifugio, quando più nulla rimane a sperare nè dagli uomini, nè dalla natura, con saggia e necessaria precauzione erano tutte chiuse.
Da un orrore di simil fatta non andò per sua disgrazia esente la città di Venezia. Risparmiamo a’ nostri lettori novelli dettagli dell’eccidio, che anche tra le nostre lagune il morbo produsse, e trasportiamo invece le nostre idee sopra immagini ben consolanti e dolcissime, dipingendo le benefiche e paterne cure del governo che con esempio forse unico nella storia de’ secoli considerò come sue proprie le sciagure di ciascun individuo, e si prestò ad alleggiarle, profondendo ricchezze, e tutto ciò che immaginar poteva la pietà caritatevole a favor di ogni classe di persone, e segnatamente di quella, che per la sua indigenza destava ancor più tutta la compassione.
Appena si scoprì che la peste era entrata in Venezia, si cominciò dal collocar nel Lazzaretto vecchio gli ammalati, e nel nuovo i sani, ma pur sospetti d’infezione per aver comunicato co’ primi, e vi dovean risiedere per una quarantina di giorni. Sì nell’uno, che nell’altro ospizio v’avea un Preside col nome di Priore, che a tutti dovea sopraintendere; v’avean serventi, medici, chirurgi, e di più alcune mammane pel servigio delle femmine, e quanti infine potevano riuscir proficui alla travagliata umanità.
Ciò poi che formava uno spettacolo assai singolare ed imponente, e che dovea piuttosto rappresentare una delle nostre feste trionfali e marittime, era la vista di più di tre mila barche, dove si collocarono da otto a dieci mila persone, la maggior parte mendiche; benchè v’avessero anche de’ ricchi cittadini, che persuasi d’esser meglio assistiti, vollero approfittare del servizio pubblico, facendone però essi la spesa.
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Venezia Venezia Lazzaretto Preside Priore
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