Compiuta l’opera, il Grimani pregò il Re di passare in una sala, che a bella posta si aperse di fianco al teatro. Ivi sontuosa mensa stava rizzata con numerosa corona di dame e gentiluomini. Ma Federico fu ancor più sorpreso quando dopo cena ricondotto nella sua loggia, vide in pochi momenti il teatro trasformato in una sala da ballo elegantissimamente addobbata. Non dubitò quasi più, che i Veneziani non avessero un’arte magica per le loro decorazioni. Vi osservò sul palco scenico le armi del regno di Danimarca e di Norvegia illuminate trasparentemente e poste sotto un baldacchino. Il ballo cominciò, e gli squisiti rinfreschi giravano incessantemente e per la sala e per i palchetti a norma degli ordini dati dal nobilissimo padrone del teatro. La festa non ebbe fine, che allora quando i raggi del sole vennero ad avvertire ch’era tempo di ritirarsi, e che il carnovale era terminato.
L’austero aspetto della quadragesima cangiò in un punto anche quello di tutta la città. Non più teatri, ne ridotto, non più mascherette; non più rumor per le vie e per le piazze; tutto divenne serio e grave. S. M. seppe però trovar a questa mutazione un compenso soddisfacentissimo per lui nella società della nobiltà veneziana. Avendo udito che in casa del patrizio Alessandro Molin concorrevano molte persone per alleviargli colla compagnia i dolori della gotta, il Re chiese di esservi introdotto. Era il Molin uno de’ più rispettabili nostri gentiluomini; aveva egli vinto molte celebri battaglie sui Turchi, ed il suo vasto sapere lo facea ammirare anche nell’augusto consesso del Senato.
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