I Veneziani, scordato allora il loro principale oggetto, quale si era la conquista di Costantinopoli, arrischiarono di perdere fin la Palestina; tanto era il desiderio di vendicarsi di un nemico, che di dì in dì si rendea ognor più formidabile. La rabbia scambievole da quel punto non ebbe più limiti, e per lo spazio di quasi un secolo l’un popolo e l’altro tinse del suo sangue que’ mari stessi, che gli erano stati sorgente di somme ricchezze. Infine i Genovesi, più stanchi dai travagli che costretti dalla forza degli avvenimenti, preferirono di disonorarsi, e di sacrificare spontanei la loro libertà per avere la pace. Si dedicarono all’arcivescovo di Milano che governava quello Stato, tanto per il temporale che per lo spirituale. Questo principe accolse favorevolmente gli ambasciatori Genovesi, e promise la sua protezione.
Chi avrebbe mai potuto immaginare risoluzione sì straordinaria in un popolo, ch’era divenuto in Italia possente a segno da misurarsi con i Veneziani; ch’erasi fatto ammirare per il valore e la gloria acquistata sul mare; che avea fatto fin allora nobilissimi sforzi per sostenere la sua indipendenza, e lo splendor del suo nome? Eppure a tanto il condusse l’avere perduta ogni idea di dignità repubblicana, e il non ascoltar più che le proprie passioni, fra le quali l’odio, ch’è quella che più d’ogni altra precipita l’uomo in un abisso di mali e cagiona la rovina delle nazioni. Fatti forti i Genovesi del nuovo appoggio, riaccesero la guerra contro i Veneziani; ma la morte dell’Arcivescovo accelerò una pace, a dir vero, desiderata da ambe le parti.
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