Allorchè il popolo intese la condanna del Pisani, non potè più contenersi; cominciò ad alzar la voce, e a disapprovare francamente un giudizio che copriva di vergogna la nazione. Dicevasi, che chi era nato libero come il popolo Veneto, detestar dovea non meno il despotismo, che l’invidiosa ingiustizia, e per sino minacciavasi di non voler più servire sotto altri comandanti. Il Governo mostrossi superiore a queste grida impotenti, e si occupò soltanto in por riparo al pericolo che sovrastava; quand’ecco scorgersi dal campanile di san Marco un ammasso di vele, che s’avvicina. I Genovesi, riparata la loro flotta, ed aumentata anche colle nostre prede, dopo essersi impadroniti di quasi tutte le nostre isole dell’Istria, inseguirono un vascello Veneto carico di ricche merci, giunsero sino alle lagune, e quivi, dopo averlo preso, il posero a ruba ed abbruciarono sotto gli occhi stessi del popolo accorso sulla spiaggia senza osar nulla opporre. Tale è l’effetto della sorpresa; essa paralizza lo spirito ed il coraggio. I Genovesi, fatti arditi dalla buona riuscita e dall’inazione de’ Veneziani, spingono innanzi la flotta, attaccano l’isola di Pelestrina rimasta deserta per la fuga degli abitanti, se ne impadroniscono, e fanno un incendio generale di tutte le case. Indi si dirigono verso Chioggia, discendono sul lido, mettono il fuoco in varie parti de’ borghi, e spiegano sull’acque, con un fasto insultante, le bandiere Venete tolte ultimamente a Vittore Pisani.
Venezia tutta trovossi in grande costernazione.
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