Intanto che Venezia era tutta intenta alla preservazione dal suo ultimo asilo, e che tutto all’intorno rimbombava del frastuono delle armi ostili, il valoroso Carlo Zen, ad imitazione di Scipione Africano che mentre Annibale era alle porte di Roma portava la guerra a Cartagine, spinse anch’egli la sua flotta sino alla riviera di Genova, bruciando e distruggendo quanto non poteva seco trasportare. Recatosi poscia ne’ mari Orientali, predando tutt’i bastimenti nemici che gli venìa fatto d’incontrare, depose in Candia i prigionieri, penetrò fino nella stessa Costantinopoli, dove gli riuscì di debellare i Genovesi e tutto il partito di Andronico, discacciar questo, restituire il trono all’imperator Calogiani, apportando poscia infiniti danni ai Genovesi di Pera. Ma il nostro pericolo era sì imminente, che malgrado tutti gli sforzi di Vittore Pisani, de’ quali parlano minutamente le Storie, fu necessità chiamare anche il Zen in ajuto della patria. Questi abbandonò tosto ogni sua nuova impresa, lasciando per ogni dove un nome sì formidabile, che mai non ne fu spenta la memoria.
Il Senato Veneto, perchè nulla rimanesse intentato, volle anche cercar la pace. Mandò a Chioggia i molti prigionieri Genovesi che avea, e li offerse gratuitamente a Pietro Doria, mescendo insieme proposizioni di accomodamento. Ma quel superbo, lungi dal prestare orecchio ai deputati Veneti, rispose in aria sprezzante, che non si curava punto del dono, poichè fra pochi giorni sarebbe già andato egli stesso a Venezia a liberar quelli, ed anche gli altri loro compagni.
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