Si volsero allora le mire sopra il Carrarese Signor di Padova. Il Doge gli scrisse una lettera per sollecitarlo a spedirgli i passaporti, perchè i deputati Veneti potessero presentarsi a lui ed introdur trattative. Ma egli pure, atto altiero de’ suoi proprii successi, prese quest’atto come una specie di sommessione, e rispose con arroganza, che non ascolterebbe gli Ambasciatori della Repubblica, se non se dopo essere venuto a por la briglia ai quattro Cavalli di bronzo che stanno sulla porta maggiore della Chiesa di San Marco. Non rimaneva altra speranza che quella di persuadere il re di Ungheria a rappacificarsi, e si volle tentarla; perchè è certo, che se potevasi separare un solo degli alleati, Venezia avrebbe immediatamente cangiato di condizione. A quest’effetto dunque il Senato gli spedì ambasciatori; ma quel re fece sì esorbitanti dimande che anche tutte le ricchezze de’ Veneziani di quel tempo bastato non avrebbero a soddisfarlo...... Il Senato offeso, irritato, indignato contro sì prosontuosi nemici, prese la ferma risoluzione di fare ogni sforzo ed i maggiori sagrifizj per trionfare di tanta animosità, e salvare la pubblica indipendenza. Il popolo stesso, quel popolo, che pur non avea, siccome i patrizj, da difendere nè i nomi, nè il potere, s’unì negli stessi sentimenti, e volonteroso accorse ad offrir vita e sostanze sull’altar della Patria. Le donne Veneziane anch’esse, emule delle generose Romane all’occasione di Brenno, e dopo la disfatta di Canne, fecero a gara nel portare al pubblico tesoro smaniglie, perle, gemme ed altri preziosi ornamenti; e se quelle antiche ricevettero per ricompensa un ampio elogio recitato dalla Tribuna, io credo, che le nostre (tanto era il loro patrio entusiasmo) avrebbero sdegnato una simile fastosa mercede.
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