Il Senato ricusò tali esibizioni, e credette disonorarsi meno offerendo a Cesare una riconciliazione; ma Massimiliano ricercò tali sacrifizj, che parve al Governo compromettersi ancora più la pubblica dignità coll’accordarli. Allora l’imperatore pubblicò il manifesto della lega di Cambray.
La Repubblica ben conobbe, che altro non poteva fare, che prepararsi alla guerra, e ad una guerra assai seria contro tanti e tali nemici. Si raccolsero il più presto possibile 30,000 uomini d’infanteria, e 15,000 di cavalleria. Ne fu dato il comando a Nicola Orsini conte di Petigliano, uomo di età matura, di saggio consiglio e di molta esperienza. L’Alviano che avea trionfato nella precedente guerra contro i Tedeschi, fu eletto luogotenente generale. Vi si aggiunsero, secondo l’uso, due provveditori, Giorgio Corner e Andrea Gritti, che in simili occasioni aveano dato prove di zelo e di prudenza. Vennero approvigionate tutte le città della Terra-ferma, e si pensò sopra tutto di ben provvedere il pubblico tesoro. Fu il primo il Doge Lorenzo Loredan a deporvi una grossa somma sua propria. Scorti da sì bell’esempio, i nobili ed i ricchi fecero altrettanto; gli altri cittadini offrirono il loro servigio per la preservazione dello Stato; e queste obblazioni spontanee e veramente patriottiche inspirarono in ciascheduno le più dolci speranze.
Allorchè ogni cosa fu in pronto, si raccolse il Senato per deliberare sulla condotta da tenersi in questa guerra. Già non ignorava più, che il re di Francia, ormai potentissimo in Italia, vi si recava col miglior nerbo della sua armata; e ciò che rendeva il pericolo maggiore si era, che i suoi dominj confinavano con quelli della Repubblica.
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