Si credette essere di maggior decoro della Repubblica il non entrare in giustificazioni nè dispute con chi l’avea già attaccata colle armi; ma fu risposto dal Doge con brevissime e dignitose parole: che, poichè il Re di Francia aveva deliberato di muover guerra ai Veneziani nel momento appunto che questi si giudicavano meglio sostenuti da esso, per la ragione di quell’alleanza che essi non avevano mai violata, e che anzi per non separarsi da lui si erano provocata contro di loro l’inimicizia del Re de’ Romani, essi attenderebbero a difendersi, sperando di poterlo fare colle loro proprie forze accompagnate dalla giustizia della loro causa.
Quando Giulio II seppe l’arrivo del re di Francia, e i primi vantaggi riportati dagli alleati, ordinò egli pure la marcia delle sue truppe comandate dal duca di Urbino; e, ciò che fu peggio, spedì a Venezia un monitorio in forma di bolla, colla quale anatematizzava tutto lo Stato della Repubblica, ed anche tutti que’ luoghi, dove fosse stato per rifuggirsi qualche Veneziano. Nè di ciò pago, animò tutt’i popoli a perseguitare a morte i Veneti; o almeno a farli schiavi, e ad impadronirsi de’ loro beni, come nemici del nome cristiano. La Repubblica vide in tutto ciò le passioni umane, non già la volontà divina. Si regolò in questa occasione come fatto aveva in tutte le altre; cioè ricusò di riconoscere il monitorio, e proibì che fosse pubblicato in Venezia. Indi in nome del Doge e del Senato venne affisso su tutte le porte delle chiese di Roma, un atto di appellazione al futuro Concilio, dipingendovi con colori assai vivi l’acerba condotta del Papa, la perfidia francese, affine di attrarre loro adosso il dispregio e l’odio universale; aggiungendo, che in difetto della giustizia umana la otterrebbero da Cristo giustissimo Giudice, e Principe supremo di tutti.
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