Frattanto l’armata Veneta avea marciato sino al fiume Adda. Il comandante Pitigliano vedeva con pena la terra di Trevi, che dava ingresso agli stati della Repubblica, nelle mani dei Francesi; ed avendo osservato, che i nemici erano ancora accampati presso Milano, credette il momento favorevole per andare a ricuparar Trevi. Raccolse il consiglio di guerra. Tutti concorsero nella stessa opinione, fuorchè l’Alviano che si oppose dicendo, che invece di perder il tempo nell’assedio di una piccola piazza, era assai meglio passar l’Adda, attaccare il campo francese gettandovi lo spavento ed il terrore con azioni vive e ben sostenute. Ma gli ordini del Senato erano precisi; non doveasi nulla arrischiare. Conveniva dunque contentarsi di ricuperar Trevi. Avuto il consenso del Senato, si fecero tosto marciar le truppe. La buona riuscita coronò l’impresa.
Luigi fu estremamente punto di questa perdita, ne giurò alta vendetta, e fece immediatamente disporre l’esercito per la marcia. Il Senato avea già preveduto il colpo, ed appunto per ciò avea saggiamente ordinato a’ suoi capitani di seguir l’esempio della Repubblica Romana, allorchè venne attaccata da potentissime forze cartaginesi. Ma sventuratamente la nostra non ebbe nel general d’Alviano un Fabio Massimo, che sapesse battersi e ritirarsi a norma delle circostanze; e non lo trovò neppure nel Pitigliano, che ricusò (a quanto dicesi comunemente) di soccorrere il d’Alviano per aver questo combattuto contro gli ordini di lui, là dove l’antico comandante corse ad ajutare Quinto Minucio che commesso avea una simile colpa.
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