Di fatti Verona, per timor di un simile gastigo, ricusò di ricevere il Pitigliano, che fu costretto a ritirarsi con i miserabili resti della sua armata vicino a Mestre sul margine delle lagune; ed il re di Francia, in meno di 20 giorni, acquistò (fuorchè Cremona) ancora più di quanto gli apparteneva per la divisione fatta in Cambray.
Da ogni parte piombavano allora le sciagure su i Veneti. I Tedeschi avevano racquistato il Friuli; il Papa ripigliate varie città della Romagna; il duca di Ferrara fatta la conquista del Polesine: il marchese di Mantova ricuperate Asola e Lonato; e sino il vescovo di Trento discacciate le guarnigioni venete, che si trovavano ne’ castelli del Trentino. In una parola la Repubblica pareva essere ai suoi ultimi respiri. I cittadini si trovavano nell’estrema confusione; non erano già le grida della disperazione, nè le lagrime del dolore; era un tetro silenzio, un abbattimento generale; guardavasi l’un l’altro senza osare di articolar parola; tutti parevano di sasso. Non più fondachi aperti; nè più Tribunali di giustizia: le sole Chiese erano piene di gente; nè certo rimaneva altra speranza che nel Cielo. Che cosa mai fare in tal frangente? Ciò che fanno i bravi capitani di vascello, allorchè conoscono di non poter più resistere alla forza della burrasca, e veggono la nave in procinto di perire pel peso del carico; essi gettano in mare la maggior parte delle mercanzie, ed il vascello per tal modo alleggerito, giugne sano e salvo in porto, avendo conservato la vita dei navigatori, ed il resto pur anche delle ricchezze.
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