È vero ch’essi mandarono ambasciatori a Cesare, che trovavasi a Trento, per trattar di accomodamento; ma Antonio Giustiniani colà spedito a quest’oggetto, non venne mai ammesso all’udienza dell’Imperatore. Indi basta esaminare la situazione della Repubblica a quel punto per convincersi, che ordini così disperati non poteva dare il Senato al suo ministro. Essa aveva perduto, è vero, quasi tutti i suoi stati di Terra-ferma, ma conservava intatti i possessi marittimi, che non consistevano già in alcune città, ma in provincie molto estese ed in ricchissimi regni. Il suo apparecchio navale, infinitamente superiore a quello di ogni altra potenza, era ancora sano ed intero, senz’aver sofferto il menomo tocco del fulmine della guerra. La sua artiglieria, e gli attrezzi guerreschi erano in buonissimo stato e abbondantissimi. Il tesoro pubblico non era scemato di molto, essendo ancora le guerra ne’ suoi principj. La capitale sì per la sua meravigliosa posizione, che per lo stato di difesa in cui era stata posta, rendea vana ogni speranza a’ nemici sopra di essa. Il suo popolo era tranquillo, e subordinatissimo al governo; i suoi magistrati disposti a dare le maggiori prove di virtù, e del più ardente amore di patria. È egli mai possibile, che in tale stato di cose la Repubblica prendesse un partito sì vile e sì intempestivo, qual si era quello di rinunciare alla propria indipendenza, essa che, nata libera, avea saputo, con esempio unico, conservarsi intatta per la durata di tanti secoli?
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