Al contrario perdendosi Padova, perdevasi ogni speranza di mai più reintegrarsi del perduto. Ed era grandissimo il pericolo, che Venezia stessa, spogliata di tanti dominii, privata di tante ricchezze per la diminuzione delle rendite pubbliche e private che ritraevansi dalla Terra-ferma, o non potesse difendersi al presente dalle armi dei Confederati, o diventasse in progresso di tempo preda de’ Turchi, o pur anche degli stessi principi cristiani mediante una nuova lega fra loro. Per il che fu messa ogni attenzione e diligenza a migliorare i lavori necessarj alla difesa di quella città, a provvederla abbondantemente di viveri, di munizioni, di artiglierie, e di un rinforzo di truppe, quanto si poterono raccorre. Nè per tutto ciò venia meno l’ansietà e la sollecitudine del Senato, e i vigili Senatori non cessavano nè giorno nè notte di pensare, ricordare e proporre le cose più opportune per ottenere un esito felice.
Frattanto l’Imperatore raccolto aveva un esercito di ottantamila, o come alcuni pretendono, di centomila uomini, e volle venir egli stesso a porre l’assedio a Padova. I Veneti non sorpassavano i sedici mila soldati. Come resistere a tanta maggioranza? Il Doge Lorenzo Loredano, uomo venerabile per la sua età, per la cospicuità del grado sostenuto degnamente da più anni, benemerito della patria per i tesori profusi a pro di essa, ammirato per le sue virtù, pe’ suoi consigli, volle nel caso presente raccogliere straordinariamente il Gran Consiglio, come il corpo nel quale risiedeva la vera maestà dello Stato.
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