Il loro esempio eccitava in tutti l’emulazione, ed ognuno cercava di superare sè stesso. I soldati mercenarj vedendosi frammisti ai patrizj, si trovavano non solo animati da loro, ma confortati dall’idea, che niente potrebbe neppur ad essi mancare. Di fatti la città abbondava di qualunque genere di provvisioni, giacchè non era stato men sollecito il governo ad acquistarle, che i villici a recarle in Padova. Questi in oltre aiutavano quanto più potevano sì gl’interni, che gli esterni lavori di quella piazza, talmente che venne essa riparata e fortificata maravigliosamente. È ben vero, che a compiere tanto lavoro vi contribuì non poco il molto ritardo, che vi frappose l’Imperatore a unire le sue truppe, e a determinare il modo di dare l’assalto alla città; donde avvenne che quell’esercito potentissimo, giunto sotto le mura, in meno di sei settimane che stava assediandola, perdette ogni speranza di vittoria, e Cesare stesso fu costretto a ritirarsi per allora sino a Verona, deliberato di ritornarsene in Germania per disporsi, diceva egli, a rinnovare la guerra nella primavera. I Veneziani approfittarono del momento per racquistare molti castelli. L’Imperatore dimandò una tregua che non gli fu accordata. In fine, per abbreviare questa narrazione ormai troppo prolissa, basterà dire, che si combattè con varie vicende sino al 1516, non avendo mai mancato il governo Veneto di attività, di forza, di consiglio; e alla pace generale, la Repubblica riebbe quasi tutto ciò che aveva perduto.
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