Dimenticaronsi assai presto tutt’i mali della guerra, e le somme immense che aveva costato, poichè Venezia trovava nel suo commercio una fonte inesausta di ricchezze pubbliche e private; e la Repubblica nell’amor de’ suoi sudditi conservava sì potente forza politica, che superava ogni altra, e che i soli secoli non avrebbero bastato a distruggere.
Nota alla pagina 45.
[pag. 28 in questa edizione elettronica]Che un compatriotta, e forse anche un parente del conte Francesco Carmagnola, non molti anni dopo la sua morte, punto da un vivo dolore, giudicasse e parlasse come abbiamo veduto nella narrazione, non recherebbe stupore. Ma che quattro secoli dopo, in una piena discordanza di storiche tradizioni, nell’ignoranza totale di autentici documenti, e nell’annientamento di un corpo sovrano che non ha più voce, siavi chi ami risvegliar la memoria di un fatto, senz’altro apparente motivo che quello di mordere la direzione di un Governo, per lode di giustizia e d’integrità riputatissimo, è cosa veramente singolare e degna di osservazione. Lasciando da parte gli storici forestieri, e specialmente un Sismondi e un Daru, che quanto allettano per la grazia del dire, tanto fanno nausea per la sfigurazione dei fatti, restringeremo ora le nostre doglianze verso cert’uni, i quali fanno pomposa mostra de’ lor sagaci ingegni, col produrre opere atte a riaccendere odii e rivalità, ed a rinnovare quelle discordie, onde in antico fu vittima la nostra bella e troppo vagheggiata penisola. Io intendo segnatamente parlare e della Tragedia del signor Manzoni intitolata Il conte di Carmagnola stampata a Milano, e del Quadro che, per commissione di là procedente, si è lavorato in Venezia dal signor Hayez, in cui rappresentasi la separazione del Carmagnola dalla sua famiglia, nel punto d’avviarsi all’ultimo supplicio.
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