Ei tolse Vigevano al marchese di Monferrato più col timore, che colle armi. Ma in Piacenza, signoreggiata da Filippo Arcelli, pose in opera più fiero spediente. Essendogli caduti nelle mani il fratello ed il figlio di quel principe, egli, fatte piantar due forche sotto le mura della città, le intimò la resa, minacciando di far impiccare i due giovani prigionieri, se ciò non otteneva. L’Arcelli non credendo possibile tanta crudeltà, rifiutò di arrendersi, e tosto le due innocenti vittime penzolarono dal patibolo. L’infelicissima madre e la loro cognata, che dalla finestra videro l’orrenda scena, accrebbero talmente colle loro smanie la costernazione del principe, ch’egli uscì di città travestito, e così Piacenza ritornò in potere del Visconti. Bergamo fu tolta al Malatesta per sorpresa. Como, Cremona e Brescia s’arresero per contratto. Di Parma egli prese possesso per ispontanea dedizione, senza spendere nè danaro, nè sangue. Così fu di Asti nel Piemonte, che cedette ad una sua semplice intimazione; così di Faenza, d’Imola e di Forlì nella Romagna. La città che gli costò più sudori, e che non si rese se non dopo un formale assedio, fu Genova. Superbo il Carmagnola per questa impresa, e per aver in meno di dodici anni ricuperato al duca Filippo forse venti città, non dubitava di acquistargli ben presto non solo tutto lo Stato di Gio. Galeazzo suo padre, ma di estendere maggiormente i confini, quando l’invidia e la malignità de’ cortigiani ruppero i suoi disegni. Quali fossero le secrete trame tese contro di lui non giova cercare.
| |
Vigevano Monferrato Piacenza Filippo Arcelli Arcelli Piacenza Visconti Malatesta Cremona Brescia Parma Asti Piemonte Faenza Imola Forlì Romagna Genova Carmagnola Filippo Stato Gio
|