Basta bene, che gli venne un ordine dal suo signore di lasciare immediatamente il comando delle armate, e di assumer il governo di Genova. A tal colpo inaspettato, egli fremè; conobbe di essere calunniato; cercò di farsi ascoltare dal principe per lettera; ma le lettere o furono intercette o giunsero mal gradite, e non n’ebbe mai risposta. Irritato ognora più, egli lasciò finalmente Genova, e si recò al soggiorno del Duca in Abbiategrasso per avere udienza; ma questa gli venne replicatamente negata, onde non potendo altro, si diè a gridare altamente, sperando che le sue voci giungessero all’orecchio di Filippo, e dichiarò traditori e ribaldi i suoi ministri, e protestò, che in breve il Duca sarebbesi pentito di non averlo ascoltato. Detto ciò, per prevenire i pericoli, spronò il cavallo, e s’involò per sempre dalle terre del Visconte, il quale tosto ordinò la confisca de’ suoi beni, e la prigionia della sua famiglia.
Non parendo al Carmagnola poter trovare migliore rifugio che in Venezia, ove gli animi erano esacerbati contro Filippo per l’oppressione in che teneva gli sventurati Fiorentini, quivi si ritirò. Il Doge Francesco Foscari, nemico acerrimo de’ tiranni, e portato per natura alle ardite imprese, contribuì non poco a fargli avere buon’accoglienza, e sperò che un sì illustre e intraprendente Generale avrebbe potuto indurre il Senato ad ascoltare più le voci bellicose de’ Fiorentini, che le pacifiche di Filippo. Gli Ambasciatori delle due potenze si trovavano al tempo stesso in Venezia, e secondo le varie loro mire, ciascuno incalzava i maneggi.
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