Si rivolse al Carmagnola, e non n’ebbe nessuno; sicchè dopo tre settimane di resistenza, dovette cedere. Intanto l’armata di terra erasi avanzata nel Bresciano. Il Carmagnola la condusse sotto il castello di Gotalengo, e ignaro ch’ivi presso fosse imboscato un buon corpo di nemici, tenne il suo campo con tal trascuraggine, che il nemico gli piombò addosso improvvisamente, uccise più di 1500 soldati, e costrinse il resto a precipitosa fuga. Increbbe fortemente al Senato tanta sciagura avvenuta ad un esercito de’ più fioriti, che a’ que’ tempi si vedesse in Italia; pure esso non volle sospettare malizia del Generale, ed attribuì tutta la colpa al solito destino delle guerre; anzi gli animi si acchetarono affatto, quando si seppe che il conte Francesco in ammenda del fallo, avea riuniti con mirabile prontezza gli avanzi dell’esercito, lo avea rinforzato di nuove reclute, ed erasi posto in istato d’uscire in campagna; e per istornare le forze di Filippo da Brescia, era andato a minacciar Cremona. Quivi nacque un combattimento feroce con danno reciproco; ma la vittoria si decise poco appresso a favor dei nostri, sulla via che conduce a Maclodio. Grande ivi fu la strage de’ Milanesi, e più di ottomille caddero prigionieri, tra quali lo stesso generale Carlo Malatesta. Ma qual che si fosse la ragione, il Carmagnola non volle approfittarsi della vittoria. Invece di diriggere i suoi attacchi contro qualche piazza importante, oppur contro la stessa Milano, egli perdette il tempo saccheggiando Soncino.
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