Di qua venne, che i nostri non avendo che marinaj e soldati armati alla leggera, mal poterono sostenere uomini armati dalla testa ai piedi. Combatterono nondimeno, fecero sforzi di valore, tinsero a varie miglia l’acqua del Pò del loro sangue ma dovettero alla fine arrendersi, eccetto il comandante, che fuggì, e pochi altri con lui. La vittoria del nemico fu compiuta; più di tremila dei nostri furono uccisi; il bottino immenso; il danno superò la somma di seicentomila ducati. Per buona sorte, i generali del Duca non approfittarono dei loro vantaggi, e tutto si restrinse ad inconcludenti marcie, a guasti, a scaramuccie.
Poco dopo successe, che il Capitano di un distaccamento Veneto, veggendo mal guardato da una parte il muro della città di Cremona, concepì l’ardito pensiero di far notte tempo una sorpresa, e senz’altra considerazione lo eseguì. Si gettò nel fosso, scalò le mura, e seguito dai suoi si trincerò ad una porta, spedendone tosto l’avviso al Generale ch’era tre miglia lontano. Fu però vana ogni ambasciata, ogni preghiera d’ajuto; il Carmagnola non si mosse; quindi dopo due giorni di aspettazione, il distaccamento dovette abbandonare il posto e rinunziare alla bella speranza di conquistar Cremona, che pur era lo scopo di tutte le operazioni di quella campagna.
Così freddo ed indolente non si mostrò il Carmagnola quando, poco appresso, venne chiamato dal Governo a respingere gli attacchi del Patriarca di Aquileja, che con forze impetrate dall’Imperatore, erasi dato a saccheggiare crudelmente il Friuli; e sì valorosamente operò, che in breve quella provincia rimase sgombra da infestazioni, ed il nemico battuto e fugato.
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