Successe finalmente il Congresso di Piacenza, durante il quale si posaron le armi. Fu allora che il Carmagnola venne chiamato a Venezia. Ma come senza ricorrere all’artificio sarebbesi ciò potuto ottenere, s’egli era alla testa di un esercito mercenario, e pronto a cangiar bandiera, secondo che al suo Generale fosse piaciuto? Nelle cose di Stato, non già ai mezzi, ma al fine suolsi badare. Imprigionato che fu, appoggiò il Senato il grave affare al Consiglio de’ X cogl’Inquisitori di Stato e coi tre Avvogadori. Volle aggiungervi in oltre venti fra i Senatori di più specchiata probità. Dinanzi a questo Tribunale comparve il Carmagnola. Venne interrogato; gli si presentarono le sue lettere intercettate; indi i testimonii che deponevano contro di lui, tra’ quali, oltre semplici domestici, v’erano ufficiali distinti, uomini di onore, che militato avevano sotto di lui, i quali asserivano fatti comprovanti la di lui fellonìa; pure egli persistette nel non voler confessare il reato; ma i Giudici credettero necessaria una tal confessione per vie meglio giustificare la sentenza; ed il Senato in oltre l’avea ordinata. Si ricorse dunque alla tortura, e questa valse a trargliela di bocca. Crudel mezzo in vero, che fa l’anima rabbrividire all’idea di tormenti inflitti, non agli scellerati soltanto, ai traditori della patria, ai parricidi, ma a quelli pur anco, le cui colpe non sono delitti, e persino agl’innocenti. Una tal barbarie però non era propria solamente di Venezia, come da taluno si vorrebbe far credere; essa era allora praticata da tutte le nazioni, anche le più incivilite e virtuose; e l’Elvezia stessa, nazione libera, trent’anni fa era ancor lorda di quest’ignominia.
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