Un Governo, i cui numi tutelari erano la clemenza e la giustizia, che per tema di offenderli avea indugiato quattro anni a decidersi, che tante cautele avea fatto precedere, non può senz’altro aver emanata un’iniqua sentenza. Sia pure, che un certo orgoglio, figlio del potere, rendesselo indifferente alle dicerie del volgo; egli però sapeva, che trattavasi della vita e del nome d’uno fra i primi capitani del secolo; nè certo poteva piacergli l’andare incontro alla disapprovazione almeno di tutta Italia. Aggiungasi un’altra riflessione, la quale non potrà certo essere di lieve peso. La Repubblica di Venezia pel corso di più secoli, non avendo atteso che alle cose di mare, si trovò affatto sprovvista di ogni cosa necessaria alla milizia terrestre, allorchè si risolse di attendervi. Nè il popolo per obbedire, nè i patrizj per comandare erano atti a queste inusitate imprese; e per ciò fu d’uopo ricorrere a soldati e a capitani forestieri, condotti da generosa mercede al suo servigio. Questo costume prendendo forza col tempo, si conservò sempre lo stesso, malgrado le reiterate esperienze, e gli scritti degli uomini più illuminati per dimostrare il danno, che da quest’uso derivava alla Repubblica. Al qual proposito, qual è quell’uomo che dotato di fior di senno, non ripeta quelle medesime parole di un autore anonimo, il qual dice: “Il bisogno, che i Veneziani avevano degli stranieri per comandare le loro armate terrestri, toglie ogni sospetto sopra la giustizia della sentenza del Carmagnola; che se fosse corso il dubbio, che miserabili passioni vi avessero concorso, non avrebber trovato chi si fidasse di essi.
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