La città tutta se ne interessava, e stavasene intenta per saper l’esito di un giudizio, che quantunque formato per la secreta via delle pallotte, diveniva palese dalla soddisfazione o dal disgusto che spiegavano in volto i patrizii, anche prima che girasse per la città il metodico scritto di tutte le ballottazioni fatte in quell’augusto Consesso.
Contenta la patria qualora avea con buon ordine, come per lo più avveniva, rinnovati gl’individui di un Corpo, da cui più particolarmente traeva la sua maggiore solidità, scioglievasi il Gran Consiglio. Gli antichi magistrati uscivano ricevendo ringraziamenti, i nuovi riverenze ed ossequii. Tutti si ritiravano esultanti di questa nuova garanzia della pubblica tranquillità. Il Doge, accompagnato dalle primarie dignità della Repubblica, rientrava nel suo appartamento, dove tratteneva a pranzo non solo queste, ma il Cancellier Grande con i principali Segretarii.
Non fu forse senza certa avvedutezza politica, che venne scelto questo giorno per invitare a banchetto una classe di cittadini, che siccome ammessa alla conoscenza degli affari di Stato, poteva più facilmente di ogni altra scordarsi per qual intervallo fosse distante dalla classe imperante e quindi cogliere il destro di eccitar qualche torbido, nella speranza di sormontare gli ultimi gradini di una scala così ammiranda. A fine dunque di amicarsela, o di farle meno pensare sulla sua inferiorità, ponevasi essa pure a parte della pubblica gioja. Il banchetto facevasi colla medesima sontuosità e magnificenza che tutti gli altri, ed il concorso del popolo n’era forse maggiore.
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