E contro qual nemico doveva essa di nuovo impugnar l’armi? Contro una potenza formidabile, che avea più di sessanta milioni di sudditi, ed una rendita proporzionata agl’immensi suoi dominii in Europa, in Asia ed in Africa, mentre la Repubblica non aveva che poco più di tre milioni di sudditi. Non è dunque a stupire, se la prima sua campagna riuscì così sfortunata. Ma qual forza, qual valore, qual costanza non fece dal suo seno ripullulare la necessità di una nuova guerra? Essa ben dimostrò al mondo tutto, che se gli animi de’ suoi cittadini erano in apparenza languidi e freddi, non erano però instupiditi nè annientati i sensi dell’antico valore, dell’antica generosità, dell’antico patriottico zelo. Anzi si può dire, che tutto ciò che fu altamente ammirato ne’ più bei tempi di Grecia, di Roma, di Venezia stessa, non è per nulla paragonabile a quanto fu operato in questa guerra: guerra per lunghezza di tempo, per isforzo d’armi, per singolarità di eventi memorabilissima in tutt’i secoli, in tutte le storie, e nelle opinioni di tutti gli uomini: guerra propriamente di Giganti, in cui ogni Veneto Comandante apparve un eroe, ogni battaglia una vittoria per la Repubblica; e nella quale una sola città assediata seppe, con esempio unico, resistere per lo spazio all’incirca di 25 anni, senza aver armate da opporre ad armate, e non contando per sola interna difesa, che una guarnigione di otto mila uomini appena, mentre veniva attaccata da più di cento mila combattenti, che sembravano moltiplicarsi morendo: guerra infine, che, a volerla circostanziare, empirebbe non pochi volumi.
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