Durante la rigida stagione, applicossi a racconciar i bastimenti e ad allestire un’armata capace a ben corrispondere ai suoi vasti disegni. Pensava egli di portarsi ai Dardanelli, ed impedir l’uscita ai nemici, mentre Candia potrebbe da Venezia venir soccorsa, come aspettavasi, con nuovi rinforzi. Che se poi fosse avvenuto ai Turchi di uscire, egli meditava di costringerli a battaglia; e conoscitor com’era del valore de’ suoi, promettevasi una vittoria atta ad abbassar l’altrui orgoglio, e terminar forse una guerra con sempre maggior lustro della patria. Con pensieri così elevati, e con un’anima ardentissima, come poteva egli tollerare l’inazione per un intero inverno? Difatti, appena giunse il mese di marzo, che uscì in mare con tutta la sua squadra. Una parte ne assegnò per assister Candia, un’altra per togliere i soccorsi alla Canea, ed egli con 27 vascelli, 24 galere e cinque galeazze, s’avviò verso i Dardanelli. Ma nella notte dei 17 marzo, scoppiò una fierissima burrasca accompagnata da tutti gli orrori delle tenebre, de’ venti e dell’onde infuriate. Ben presto sconficcati i timoni, rotte le funi, spezzate le ancore, andavano vaganti sull’onde e navi e galee, urtandosi fra loro, rompendosi negli scogli, ed investendo nelle maremme. Nell’oscurità e nel rumore confondevansi le voci del comando colle strida della disperazione. Soldati e marinai cercavano scampo fra i maggiori pericoli; chi gettavasi in mare, chi ne’ palischermi già zeppi di gente; i più infelici eran quelli che dalle onde battuti a terra, venivano fracassati fra i sassi e le navi.
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