Spedì pur anche molte insegne de’ comandanti nemici, fra le quali la coda di cavallo, che n’era la principale. V’imbarcò più prigionieri, ed anche il perfido Mustafà, che incatenato giunse a Venezia ad espiare la giusta pena del suo infame tradimento. — Il Senato avea ben ragione d’infranger la legge, che non permetteva ad un cittadino di esercitare uno stesso ufficio, oltre il termine prescritto. Il Mocenigo era stato più volte confermato nel comando delle flotte, benchè avesse egli chiesto sovente il congedo. Finalmente il timore di dare un esempio troppo pericoloso, fece sacrificare l’interesse del momento, e gli fu dato un successore. Ma subito che fu possibile, venne rimesso nel comando. Giunto nell’Arcipelago, fu ricevuto da tutta l’armata col maggior trasporto di gioja. Venne egli informato, che il disegno del nemico era di andar a Rodi, e subito risolve di raggiungerlo e combatterlo. Si avanza sino a Nio; ma i Turchi con false mosse avevano tutti ingannati. Dopo aver recati importanti soccorsi alle armate sotto Candia, erano rientrati in Costantinopoli. A tali notizie, il Mocenigo si afflisse a segno che s’indebolirono le sue forze, e cadde ammalato. Venne trasportato in Candia, dove finì di vivere più di dolore, che di vecchiezza. Le sue virtù, i suoi talenti superarono l’invidia stessa, e perfino ogni sentimento di vendetta; poichè si videro gli stessi barbari dar segni di venerazione per lui alla nuova della sua morte. Tutti i Bey condussero le loro navi sotto Candia, paviglionandole a lutto, e strascinando sull’acque le bandiere nere; e parimente le truppe terrestri spiegarono le insegne di lutto.
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