Se noi stessi fummo tentati di accusare il Morosini di troppa severità, ed abbiamo in lui riconosciuto più passione che giustizia, la riflessione e l’esperienza devono assai presto averci richiamati all’osservazione, che tutto è eccesso presso gli uomini destinati a grandi imprese, e che tanto le loro virtù, come i loro vizj partecipano sempre dell’energìa del loro carattere. Tutto in lui derivava dal grand’amor di patria; tutte le sue azioni erano guidate da questo nobile sentimento. Se ciò non fosse stato, avrebb’egli obbedito immediatamente, come fece, all’ordine del Senato di dimettersi dalla carica, quando aveva in suo potere la forza principale della Repubblica, godeva l’amore di tutta l’armata, e non aveva presso di sè alcun superiore che gli comandasse? Ciò basterebbe ad immortalare un generale di una monarchia.
Il governo spedì un inquisitore all’armata per prendere cognizioni esatte sul fatto, ed intanto il Gran Consiglio nominò Francesco Morosini podestà in Padova: il che era una punizione per quelli che avevano servito in cariche superiori. Eppure, secondo le massime del governo, egli era stato punito abbastanza coll’averlo richiamato a Venezia qualche mese prima che terminata fosse la sua carica di mare, e coll’averlo rimproverato per la sua troppo severità.
In questo mentre giunse notizia che un grosso corpo di Turchi era disceso in Croazia, il che diede a temere non fossero tentati di fare un’irruzione nel Friuli. In tal frangente tutt’i suffragi concorsero ad eleggere per provveditor generale della provincia e terra-ferma Francesco Morosini, dandogli il comando supremo delle armate; dimodochè lungi dal lasciar Venezia con umiliazione egli se ne partì onorato sempre più. Adempì la sua commissione con esito felicissimo, e con universale approvazione.
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