Il sibilo delle palle ch’escono da’ fucili nemici supera il fracasso de’ lavoratori. Egli non l’ode, assorto com’è a regolar ogni cosa. Vuolsi però, che quel sibilo micidiale sia più atto a spargere il terrore ne’ cuori, che non è il crepito delle sciabole ed il rimbombo del cannone; in questi v’è qualche cosa che innalza l’animo, inspira il coraggio; ma quel fischio leggero offre l’idea del tradimento e rassomiglia ai colpi dell’assassino notturno. Chiunque lo ha sentito non ne ha mai dimenticato l’effetto. Il fuoco tuttochè continuo della fortezza non impediva abbastanza le operazioni de’ Turchi, perchè estinti gli uni sottentravano altri in maggior numero, talchè nel giorno 22 maggio del 1667 giunsero ad aprire una breccia. Da quel momento non vi fu giorno che non fosse segnato da qualche azione. Basterà il dire, che in meno di sei mesi vi ebbero trentadue assalti, diciasette sortite, e si fecero scoppiar le mine seicento diciotto volte. La guarnigione vi perdette tre mila ducento soldati e quattrocento ufficiali, fra’ quali alcuni volontarj di tutte le nazioni, che la fama di questo famoso assedio aveva fatto concorrervi. I due principali capi, cioè il Morosini, ed il Barbaro governatore di Candia, erano ambedue molto feriti. Nondimeno i Turchi non avanzavano tanto quanto speravano; la mortalità fra loro era infinita, e l’inverno era alle spalle. Il gran visir trovavasi in somma angustia ed oltre tutto temeva una sollevazione delle milizie. Per tranquillarle fece avvertire il segretario della Repubblica, che a lui si recasse per trattar la pace.
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