Il ministro vi andò; ricevette tutti gli onori, e fu veduto dalla truppa turchesca con gran giubilo. Ma questo non fu che uno stratagemma del visir, poichè le condizioni proposte furono quelle medesime tante volte ricusate dai Veneziani. Tentò egli allora un altro mezzo per ottener la città. Fece gettarvi de’ viglietti, ne’ quali minacciava di morte la più crudele quelli che ricusassero l’ordine di ceder Candia. Gli assediati si beffarono di queste vili bravate, sempre più risoluti di non obbedire che agli ordini de’ loro comandanti.
      Malgrado la cattiva stagione i Turchi si tennero fermi ai loro posti per essere più pronti in primavera a ricominciare le grandi operazioni dell’assedio. Potevano di fatti lusingarsi della riuscita, poichè arrivavano loro continuamente nuove squadre con nuovi e sempre maggiori rinforzi, mentre alcuno non ne veniva ai Veneziani. Per soprappiù convenne al nostro comandante generale dividere in due la sua flotta; una per guardia di Candia, l’altra per iscorrere l’Arcipelago in difesa delle isole, particolarmente della Standia, la quale trovandosi in faccia a Candia era un posto utilissimo per aver l’acqua necessaria, e facilitare l’entrata e l’uscita de’ vascelli. Il gran Visir avea formato il disegno d’impadronirsene servendosi delle beliere che si trovavano in Candia, rinforzate da dodici galee sulle quali imbarcò due mila Gianizzeri. Il comando di questa spedizione era dato a Durac, famoso corsaro, con ordine di battere notte-tempo, prima la piccola squadra veneta che percorreva il mare verso santa Pelagia, poi di trasferirsi a Standia, occuparvi il porto, fortificarvisi, incenerire e distruggere tutt’i vascelli veneti, aggiuntevi le promesse più ampie di ricompensa se la cosa riusciva a bene.