Citare in giudizio un cittadino potente per parentado, per favori ricevuti, per distinti impieghi sostenuti, per la sua stessa attuale dignità, era un’azione degna degli antichi tempi. Il gran consiglio doveva in oltre compiacersi, che fosse stata riconosciuta la sua autorità, appellandosi ad esso piuttosto che al Senato; e questo pure fu un tratto di somma furberìa dell’oratore. Il gran consiglio era poco informato degli affari di Candia; di più, essendo corpo numerosissimo, non potea a meno di non odorare alcun poco di popolo, quantunque composto di nobili. Era dunque molto più facile commuoverlo, aprendo piaghe non ancora bene cicatrizzate, sedurne il giudizio ed attrarne gli applausi. Difatti il giorno 23, allora quando il consiglio si radunò di nuovo per eleggere un Avogador di comun, l’accusatore del Morosini venne prescelto a pieni voti. Il Senato, per secondare il desiderio indicato dal gran consiglio, aveva subito eletto un inquisitore di probità e di zelo provato per esaminare gli affari di Candia. Ma il nuovo avogadore, prevalendosi dei diritti della sua carica, intromise la elezione, e propose, che il gran consiglio solo dovesse esserne il giudice. Vista la buona riuscita di questi primi passi, s’inoltrò poi a proporre fino l’annullamento del decreto ch’eletto aveva il Morosini in procuratore di san Marco, per essere elezione fatta in onta alle leggi, agli usi, ed all’intenzione pubblica; la qual’era stata di compensare il difensor di Candia, non chi l’avea ceduta; e provò che, al segnar del decreto, Candia era perduta.
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