Nessuno osò di porsi sulla lista de’ candidati per la nuova elezione di doge, e Francesco Morosini ebbe tutt’i voti. Era ben giusto, che quello che avea dato un regno alla Repubblica, fosse cinto del diadema ducale. Trovossi nondimeno necessario, ch’egli proseguisse a starsene al comando delle armate, e per ciò il Senato gli spedì un suo segretario per annunziargli la sua esaltazione al dogado, recargli il berretto ducale, e l’anello d’oro col sigillo, che i dogi dovevano sempre portare in dito; aggiungendogli la prescrizione di non abbandonare il suo posto. Il Morosini ricevette quest’ultimo premio da uomo di gran cuore, che si sente animato da una nobile emulazione di superare quanto aveva sino allora operato.
Il giorno 26 maggio 1688 vestì egli le insegne ducali sopra un seggio elevato sotto la poppa della sua galera, dove ricevette con grande solennità tutt’i capi di mare, che poscia si schierarono in fila dall’una e l’altra parte del trono. Indi furono ammessi tutt’i primati sì di Egina, che delle sue vicinanze, accorsivi per presentare a sua Serenità le loro felicitazioni. Tutti furono trattati con freschi squisiti ed abbondanti. All’armata poi, ebbra di gioja per averlo ancora a suo comandante, fece distribuire, del suo proprio erario, bella somma di danaro, e copia di vino, il che per tre sere venne ripetuto; ed in tutte le tre sere si fecero scariche di moschetto e di cannone, gran fuochi di gioja in mare ed in terra; varie illuminazioni delle galere, galeazze e navi, le cui antenne e pennoni formavano nell’oscurità della notte una assai dilettevole vista.
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