Le indisposizioni del Morosini non cessavano, ond’egli senz’aspettare la licenza del Senato (che pur era in viaggio) pensò prender congedo dall’armata ed avviarsi a Venezia. Pervenuto l’avviso della sua partenza, il governo studiò subito qual incontro gli convenisse, proporzionato alla sua dignità ed al suo merito. Cominciossi dall’eleggere dodici patrizj tra i più giovani, belli e ricchi, ai quali fu dato l’onorevole titolo di ambasciatori, perchè andassero con tutta pompa e nelle loro rispettive peote ad incontrar il doge al Lido, il complimentassero a nome della Repubblica, ed avessero cura che tutto procedesse con buon ordine e decoro corrispondente all’importanza della funzione, indi lo accompagnassero a Venezia. Fu poi preso che la Signoria ed il Senato, saliti sul gran Bucintoro, anderebbero un po’ dopo a riceverlo; e si fissarono in oltre tutte le altre cerimonie dell’incontro, non che quelle da farsi al suo arrivo a Venezia.
Dopo sessanta giorni dalla partenza, giunse sua Serenità a Malamocco, e vi si fermò la notte. Il giorno dopo, all’ora di terza, s’avviò verso il porto del Lido. Stava egli sopra una delle galere del comandante Turco, presa a Napoli di Romanìa. Quest’era ornata colla maggior magnificenza, e ciò ch’è più, colle spoglie nemiche. Vedevansi fanali, armi, code di Seraschieri, stendardi in quantità, striscianti sull’acque. Le galee che lo seguivano erano anch’esse predate agli Ottomani, e nello stesso modo guarnite. Non è esprimibile qual fosse la gaiezza dello spettacolo, che presentò questo solenne ricevimento.
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