Se volessimo porre a confronto quest’epoca con quelle tante che ci han fatto molto onore, troveremmo, che niuna vittoria ci fu più onorifica quanto questa perdita. Cominciando da’ tempi rimoti, che fu mai l’aver vinto Istriani, Dalmati Saraceni? Costoro non erano, si può dire, che indisciplinati e vagabondi corsari; e noi avevamo sin d’allora una marina sì florida, che facea ricercar la nostr’amicizia agl’imperatori greci. Nell’impresa segnalata di Enrico Dandolo, nella quale noi vantiamo, e tutti ci accordano, la gloria di aver sottomesso l’impero greco, conviene particolarmente considerare, che quell’impero era allora nella sua maggior decadenza; oltrechè, se v’ebbe cosa degna di ammirazione ne’ Veneti, fu la fina politica tenuta cogli alleati, e coll’infelice principe degradato, piuttostochè il valor delle loro armi, la cui celebrità fu divisa anche con i Francesi. Nelle nostre prime guerre co’ Genovesi, non possiamo neppure menar gran vanto di averli superati, poichè le nostre forze marittime erano allora di tanto superiori alle loro. Quand’essi crebbero in potenza, fummo alternativamente vincitori e vinti, senza una preponderanza assolutamente decisa; nè fu, se non alla guerra di Chioggia, che i nostri cittadini Carlo Zen, Vittore Pisani, e il Doge Andrea Contarini immortalarono i loro nomi con azioni tanto chiare, da assicurare alla patria un trionfo che fece cessare ogni pretensione di rivalità. Tuttavia nemmen questo trionfo è da aversi per portentoso, poichè i nostri nemici non serbavano allora più quell’elevazione di sentimenti, che infiamma sempre chi non sa che cosa sia perdere la propria indipendenza; la quale sebben ricuperata, lascia sempre ne’ cuori una specie di umiliazione che non gli rialza mai più, massime se la perdita derivata sia da una deliberata volontà generale: il che appunto era successo ai Genovesi.
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