Ah mio Dio!
esclamai tutta in lacrime e ad alta voce "deggio essere condannata a spirar nelle braccia dell'autore delle mie pene? La mano di un nemico crudele chiuderà ella gli occhi miei? Vedrò, terminando la vita, l'inumano che mi fa discendere con rossore nel sepolcro?"
Quest'agitazione violenta mi tormentò lungo tempo; chiamava Lidy continuamente; Lidy venne a' miei gridi, mi parlava, mi teneva abbracciata, io continuava a chiamarla piangendo, e lagnandomi di non vederla. Ad ogni istante pareami di veder milord Danby. Un sudore freddo innondava il mio volto, quando l'immaginazione me lo faceva credere ancor vicino. Passai quindici giorni in questo stato, ora agitata, ora oppressa da una febbre ardente, di cui ogni nuovo accesso minacciava il fine della mia vita. Parlava troppo, le mie idee vagavano di oggetto in oggetto; mandava delle ferventi invocazioni al cielo, qualche volta delle tenere preghiere a miledy Rutland; implorava la di lei protezione, e non conoscendo più alcuno, respingeva indifferentemente tutti quelli che a me si avvicinavano; quando ritornava un istante in me medesima, i lumi deboli e passeggeri della mia ragione mi scoprivano quanto il mio cuore era profondamente piagato, e tutte le mie parole esprimevano odio e disprezzo per milord Danby.
La febbre diminuì alla fine; la natura aiutata dai soccorsi dell'arte ricominciò a prendere il suo corso ordinario. La mia convalescenza fu lunga e faticosa, e le mie idee non erano né stabili, né estese, provava una sorte di tranquillità insensibile.
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Dio Lidy Lidy Danby Rutland Danby
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